Il nazismo e l’obbedienza

PILLOLO 1572, 2014, agosto

I principali processi nei quali furono sottoposti a giudizio i nazisti e gli ufficiali

delle SS furono tre: quello di Norimberga dove si trattò di un processo militare, quello di Gerusalemme del 1961 dove per la prima volta furono ascoltati

anche coloro che si erano salvati dai lager nazisti e quello di Francoforte del 1965 quando per la prima volta un tribunale tedesco giudicò altri tedeschi.

In tutti questi processi gli imputati furono sottoposti a visite psichiatriche

per verificare se erano capaci d’intendere e di volere ma nessuno fu dichiarato pazzo.

La linea di difesa portata avanti sia a Norimberga che a Gerusalemme e a Francoforte

fu sempre la stessa e cioè che avevano solo obbedito a degli ordini superiori

ai quali non potevano disobbedire in ragione del loro giuramento militare.

E quando i giudici insistettero chiedendo se avevano condiviso questi ordini,

regolarmente gli imputati risposero che loro erano stati educati

a non mettere in discussione gli ordini dei superiori, specialmente

quando era chiaro che provenivano da Hitler. Come poteva essere interpretato

tutto ciò ?

A questo proposito condivido l’interpretazione che dette Wiesenthal,

un ingegnere e scrittore ebreo il quale dedicò tutta la sua vita a rintracciare

i nazisti che erano riusciti a fuggire dall’Europa ed a rifugiarsi,

sotto mentite spoglie, in qualche parte del mondo.

Ogni volta che un ufficiale delle SS aveva lasciato la sua divisa,

aveva lasciato anche la sua coscienza, tanto è vero su i circa tremila nazisti

che era riuscito a rintracciare solo tre dichiararono di essersi pentiti

e di sentirsi in colpa per quello che avevano fatto.

Insomma, secondo Wiesenthal, gli ufficiali delle SS seguivano una loro etica

ed una loro idea di bene e di male, nel senso che credevano nel fatto

che la rivoluzione nazista avrebbe migliorato il mondo e che gli ebrei

rappresentavano solo un piccolo intralcio nella realizzazione di questo bene.

Dunque per lui il vero problema era risieduto nei principi etici e filosofici

in cui furono formati i tedeschi e che essi condivisero.

C’è stato anche un altro prete cattolico, un certo don Milani, il quale scrisse

che l’obbedienza non è una virtù a cui uno come me, maturato nella cultura del ’68,

può aggiungere che neppure la disobbedienza fine a sé stessa è una virtù.

BLAISE2004